"Tutto quello che si fa, è solo ed esclusivamente per noi. Non possiamo vivere in un mondo rovinato in tutti i sensi, quando abbiamo invece l'opportunità di collaborare tra di noi e fare di questo mondo un luogo più bello, ricordandoci che la terra su cui viviamo non ci è stata donata dai nostri padri ma ci è stata prestata dai nostri figli."

martedì 26 marzo 2013

Campania: terra dei veleni

Penso che molti di noi siamo al corrente della situazione ecologica campana, una situazione tutt'altro che rosea. Abbiamo, quindi, deciso di fornirvi tutte le informazioni necessarie per capire al meglio l'ambiente che ci circonda, fatto di roghi abusivi nelle campagne, sversamento di rifiuti tossici nelle terre abbandonate, residui di opere mai compiute ma che inquinano il doppio dell'essere in funzione... Questo ed altro, per capire che, se la nostra terra è chiamata terra dei veleni, un motivo ci sarà.




Come primo "appuntamento", riportiamo questo articolo del laboratorio campano sulla presenza di siti da bonificare (quindi dannosi).
In Campania sono oltre 5.200 i siti potenzialmente inquinati[1] e 461 quelli con un alto livello di inquinamento ufficialmente censiti dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC)[2], ma tutto fa pensare che questo numero non sia esatto, vista la difficoltà di quantificare con precisione il numero di siti in cui rifiuti di ogni genere vengono sversati abusivamente. Il fenomeno è a macchia di leopardo, ma è anche in continuo movimento ed evoluzione. Non appena vengono adottate misure per impedire che in un certo luogo si smaltisca illegalmente, i criminali ne scelgono uno nuovo, in modo da non inceppare il meccanismo del guadagno.
Nel rapporto Ecomafia 2010 di Legambiente viene riportato che in totale, soltanto 13 siti sono stati bonificati, ottenendo la certificazione di avvenuta bonifica. Si stima che nell’intera fascia di territorio fra Napoli e Caserta solo il 15% dei siti sia stato liberato dai rifiuti e dai loro resti[3]. Sarebbe scorretto, in questo caso, parlare di bonifica, visto che in questi luoghi le sostanze inquinanti non sono state rimosse dai terreni oggetto di sversamenti, né tanto meno dalla falda acquifera in cui spesso sono penetrate.
In genere, i siti potenzialmente inquinati si possono dividere in quattro categorie: siti dove si è sversato ma che non sono stati posti sotto sequestro; siti sequestrati ma non sanati (dove cioè il luogo oggetto di sversamenti è stato “recintato” con un nastro di plastica bianca e rossa o con una rete in plastica arancione, alla quale è stato affisso un foglio di carta che avvisa che il sito è stato posto sotto sequestro); siti sequestrati dai quali i rifiuti speciali e i loro resti sono stati tolti per essere conferiti chissà dove; siti bonificati (dove cioè sono stati rimossi i rifiuti e i loro resti e il terreno inquinato circostante è stato sostituito con terreno non inquinato, per esempio con compost).
In alcuni casi eclatanti si è addirittura scoperto che le “bonifiche” venivano effettuate da imprese che utilizzavano compost che era stato prima miscelato con altri rifiuti tossici per la ricomposizione del terreno. Oltre al danno, la beffa: i criminali guadagnano quando sversano rifiuti tossici, guadagnano quando fanno finta di bonificare, e guadagnano ancora quando ricompongono il terreno con altri rifiuti tossici. Il ciclo si potrebbe autoalimentare all’infinito[4].
A causa della situazione gravissima, nel 2001 è stato costituito il Commissariato di Governo per l’Emergenza Bonifiche e Tutela delle Acque nella Regione Campania. Visti i consistenti fondi destinati a quest’organo, non si sono fatte attendere le infiltrazioni da parte di criminali che hanno fiutato un’occasione unica di guadagno, dando il via al fenomeno delle cosiddette “bonifiche fantasma”: bonifiche per le quali vengono pagati fior di quattrini a imprese che poi eseguono i lavori male, quando li eseguono. Uno su tutti, il caso della Jacorossi, un’impresa romana leader in Europa in materia di riqualificazione ambientale, che fra il 2001 e il 2006 ha lucrato pesantemente sull’incarico da 140 milioni di euro affidatole, che prevedeva la bonifica di una parte del sito d’interesse nazionale “Litorale Domitio-Flegreo ed Agro Aversano”. Le bonifiche, in questo caso come in altri, sono state eseguite da ditte terze e solo in maniera molto parziale. I rifiuti tossici raccolti sono stati solamente spostati da un posto all’altro e mai smaltiti a norma di legge.
Quella delle mancate bonifiche è una delle varie “emergenze” campane: la mancata riqualificazione ambientale del territorio, che vede ancora la presenza dei veleni depositati almeno a partire dai primi anni ’90.

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